Divorzio, ecco quando si riconosce l'assegno all'ex coniuge.

di Giorgio Vaccaro

Perché sia riconosciuto l’importo non basta la differenza, anche se rilevante, tra i redditi di marito e moglie.

Non basta la differenza, per quanto rilevante, tra i redditi dei coniugi a giustificare l’attribuzione dell’assegno divorzile. È necessario invece accertare la misura del contributo dato dall’ex partner che chiede l’assegno alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro ex, a cui si chiede di pagare il mensile. È questa l’orientamento ribadito dalle ultime pronunce della Cassazione, che definiscono meglio gli elementi dei principi di diritto da applicare per decidere sul riconoscimento dell’assegno divorzile, modificati dalla sentenza 18287/2018 delle Sezioni unite.

La Cassazione ha ormai pacificamente archiviato il criterio del mantenimento del tenore di vita, utilizzato in passato (e fino alla sentenza 11504 del 2017 della Prima sezione della Suprema corte) come guida all’attribuzione dell’assegno divorzile. Piuttosto, i giudici ribadiscono le sue funzioni assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa.ù

Le «scelte comuni»

Così, perché si possa considerare correttamente riconosciuto l’assegno divorzile, il giudice del merito deve verificare se la accertata sperequazione tra i redditi di marito e moglie abbia le sue radici «in scelte comuni di vita, in ragione delle quali le realistiche aspettative professionali e reddituali del coniuge più debole sono state sacrificate per la famiglia, nell’accertato suo decisivo contributo alla conduzione familiare, alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune per la durata del matrimonio» (Cassazione, ordinanza 1786 del 28 gennaio 2021).

Questa valutazione deve portare al riconoscimento di un contributo, che sarà volto non al conseguimento di una autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma al raggiungimento, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

Il nesso causale

Perché, poi, possa avere rilevanza la sperequazione, è necessario individuare il nesso causale tra la sopravvenuta sproporzione economico-patrimoniale e il contributo fornito dalla parte richiedente.

Si tratta di un’analisi che deve essere effettuata con la valutazione della sussistenza, caso per caso, dei presupposti assistenziali, compensativi e perequativi.

Se si dimostra che questi presupposti ricorrono, sarà riconosciuto un assegno adeguato all’apporto fornito dal richiedente nella realizzazione della vita familiare in ogni ambito di rilevanza. Se, invece, questi presupposti non vengono dimostrati, l’assegno divorzile non potrà che essere negato per mancanza dei suoi presupposti.

Per ottenere l’assegno, infatti, non è sufficiente operare un generico riferimento al contributo dato alla formazione del patrimonio familiare. Solo la dimostrazione concreta della sussistenza di questo apporto può portare al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile sotto il profilo perequativo-compensativo.

La ricerca del lavoro

Ancora, la Cassazione ha posto in rilievo l’importanza di accertare l’onere - da sempre esistente in capo alla parte che chiede l’assegno divorzile - di cercare un lavoro. In particolare, i giudici affermano che non può mai essere ritenuto irrilevante tout court il rifiuto di un impiego, anche quando non sia adeguato al titolo di studio e alle aspirazioni individuali del coniuge che chiede l’assegno (Cassazione, ordinanza 5932 del 4 marzo 2021).

Al contrario, il rifiuto di un impiego deve sempre essere valutato in modo specifico.

La nuova convivenza

Altro rilevante aspetto affrontato dalla Cassazione - e sul quale si è in attesa una pronuncia delle Sezioni unite - è quello relativo alla valenza estintiva della sopravvenuta convivenza more uxorio sull’obbligo di versare l’assegno divorzile.

Il filone interpretativo - attualmente dominante - che propende per l’automatica esclusione dell’assegno nel caso di una sopravvenuta convivenza successiva al divorzio è stato infatti messo in dubbio, sul presupposto della necessità di una più attenta analisi del carattere perequativo-compensativo dell’assegno divorzile.

In pratica, si è detto, dato che tra i criteri per attribuirlo si riconosce centralità al contributo dato al patrimonio familiare da parte del coniuge più debole, l’assegno non può essere escluso automaticamente dalla nuova convivenza. Potrebbe invece essere necessaria una valutazione, volta per volta, dell’esistenza dei criteri per mantenerlo o meno.